martedì 17 giugno 2014

La Sorellanza tra stress da minoranza, resilienza e strategie di fronteggiamento: tu come stai?



La Sorellanza tra stress da minoranza, resilienza e strategie di fronteggiamento: tu come stai?


Künstler: Klimt, Gustav
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Infos zu Gustav Klimt] Ausführung: Leinwanddruck  Titel: Die Jungfrau
Format (nach Wunsch): 98x98  Weitere
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Qualche mese fa pubblicavamo “la sorellanza ferita[i]” lanciando una riflessione sulla necessità di abbandonare atteggiamenti eterosessisti introiettati che possono danneggiarci come donne e come comunità. Oggi vorremmo estendere questa riflessione ad alcuni concetti ed esperienze che ci coinvolgono quotidianamente ma che probabilmente sottovalutiamo nei loro effetti.

Quante volte hai sentito la necessità di ponderare attentamente la situazione o le persone che avevi accanto prima di dare un bacio alla tua compagna, darle semplicemente la mano, muoverti in sintonia con il tuo essere donna e lesbica? In quante occasioni di fronte a un parente anziano o a una nipotina ti sei limitata nelle tue espressioni affettive, nei racconti quotidiani? Queste limitazioni appartengono , secondo te, anche agli altri componenti della tua famiglia che sono eterosessuali? Quante volte in metro, durante una passeggiata hai visto coppiette etero che si baciano, si guardano con complicità, parlano dei loro progetti futuri senza sentire “l’impaccio” dello sguardo esterno, senza sentire riecheggiare in te gli appellativi “ostentatoriii, ostentatriciiii”? Per non parlare poi del lavoro, di alcuni colleghi, di tutte le volte che sei andata a un matrimonio da sola e ti hanno chiesto “ma te, quando?”.
Questi “limiti” più o meno consapevoli, più o meno automatici  (per te o degli altri), rappresentano tanti piccoli stress. Lo stress di per sé non è necessariamente nocivo, e in piccole dosi può esser stimolante, ma quando eccede e diviene costante va a ledere delle parti di noi.
Questi stress non appartengono solo alla comunità lesbica o gay, bisessuale e transgender ma appartengono a tutte le minoranze che non vengono contemplate, riconosciute o che vengono generalmente discriminate, etichettate, pregiudicate in una società.
Il minority stress, lo stress da minoranza, è stato evidenziato in alcune minoranze etniche, comunità religiose e sembra colpire soprattutto quando queste comunità non hanno un forte senso di appartenenza o reagiscono in modo rigido allo stress e agli eventi traumatici, aumentando così, in un circolo vizioso, lo stesso stress, come un cane che si morde la coda non riconoscendo che è sua.

Il bisogno di essere riconosciute è alla base della costruzione della nostra identità, del nostro sé, del nostro “io sono”, e se fino a poco tempo fa coincideva anche con il riconoscimento sociale, nei tempi moderni è diventata una conquista per tutte e tanto più per le “identità minoritarie”. Il bisogno di riconoscimento diviene una “domanda di riconoscimento”. E spesso rappresenta per le donne lesbiche un doppio dolore atavico e, come dicono molte lesbiche e femministe, mette in evidenza “l’invisibilità delle lesbiche”.
Ma esiste la resilienza che ci caratterizza da secoli.

“Resiliente è chi sa sopportare i dolori senza lamentarsi, chi sa reggere le difficoltà senza disperarsi, chi ha il coraggio di intraprendere una via che sa essere tortuosa. E per questo riesce a portare a termine quanto intrapreso. Resiliente è chi ama la vita e coltiva una virtù che modera i timori di morte. La resilienza difende dalla autocommiserazione e consente di arrischiare, ricorda che siamo esposti al pericolo in quanto mortali e nel contemplo fa affrontare ciò che ostacola per vincere con saggia audacia. La resilienza fa comprendere il significato del detto aristotelico “chi non conosce i propri limiti, tema il destino”. (D. Short, C. C. Casula, 2004)


Gli stress o gli eventi traumatici a livello individuale e anche collettivo possono rappresentare fattori di crescita e anche di protezione: aumentano la nostra resilienza, possono sviluppare in noi nuove strategie di coping (fronteggiamento degli eventi imprevisti o “pesanti”), ci possono rendere più consapevoli (che non guasta mai).
Ma questo può accadere se ci assumiamo la responsabilità del nostro potere di far cambiare le cose, solo se affrontiamo il problema e non ci ritiriamo o evitiamo lo stesso.
La mancanza di riconoscimento, che va dal sentirci stigmatizzate al sentirci invisibili, a volte e soprattutto quando non è consapevole,  si enfatizza nei “malintesi comunitari”. All’interno della comunità spesso facciamo fatica a riconoscerci e a reagire in modo adeguato ai fisiologici malintesi, “screzi”, presenti in qualsiasi comunità.
Forse facciamo fatica a riconoscerci anche perché mentre portiamo verso la società con fierezza il valore della soggettività e della differenza spesso al nostro interno fatichiamo a fare lo stesso e risultiamo incapaci di usare quella meravigliosa congiunzione che è “E” al posto di una noiosa e pericolosa “O”: “Lesbica E moglie”, “Lesbica E single”, “Lesbica E madre”, “giovane E affidabile”, “farfallona E fedele”, “ieri innamorata di lui E oggi innamorata di lei E viceversa”. E ancora “o Roma o Milano” quando può esserci “E Roma E Milano” …
Quante donne e femministe e lesbiche hanno evidenziato la dicotomia “sante o puttane” mettendo in risalto il pericolo del frammentare oltre alla comunità,  la donna stessa?
 E quanti esempi ancora….”c’è posto per tutte” :-) 

Eterosessismo interiorizzato + mancanza di riconoscimento + stress da minoranza = sorellanza “dissanguata”.

Diverse autrici e autori hanno studiato le strategie di fronteggiamento (coping)  di fronte a un problema e lo stress da minoranza è un problema. Che tu lo veda e senta o meno, c’è!

Tu come reagisci normalmente di fronte ad una difficoltà?

Ti centri sul compito: tendi cioè ad affrontare il problema in maniera diretta, ricercando soluzioni per fronteggiare la crisi? Sei sicura di te, di chi hai vicino e della possibilità di risolvere i problemi e i conflitti?
Ti centri sulle emozioni: attivi abilità specifiche di regolazione affettiva, che consentono di mantenere una prospettiva positiva di speranza e controllo delle proprie emozioni in una condizione di disagio, oppure ti abbandoni alle emozioni, tendi a sfogarti generalizzando o, ancora, ti rassegni e sposti tutte le responsabilità, anche in parte le tue, sugli altri?
Ti centri sull’evitamento: tenti di ignorare la minaccia dell’evento stressante o attraverso la ricerca del supporto sociale o impegnandoti in attività che distolgono la tua attenzione al problema?
Lazarus e Folkman in particolare hanno distinto 8 tipologie di risposta agli stress:
-          Accettare il confronto
-          Prendere le distanze
-          Autocontrollarsi
-          Cercare il sostegno sociale
-          Accettare la responsabilità
-          Fuggire ed evitare
-          Pianificare soluzioni e praticarle
-          Rivalutare positivamente


Tu che fai?

Le persone resilienti hanno la capacità di trasformare un’esperienza dolorosa in apprendimento, inteso come capacità di acquisire delle competenze utili al miglioramento della qualità della vita e all’organizzazione di un percorso autonomo e soddisfacente, in relazione al contesto di riferimento (Malaguti, 2005). Per far questo è necessario cambiare lo sguardo sugli eventi ed è richiesto di indagare e comprendere la dimensione della vulnerabilità, parte costitutiva di ogni essere umano, presente anche in funzione delle condizioni di un determinato contesto.
E ricontestualizzando il concetto appena espresso, un modo per affrontare alcune situazioni  come per esempio “i malintesi comunitari” - che generano un forte senso di frustrazione perché non ci sentiamo ascoltate e riconosciute nella comunità stessa -  è comprendere che la nostra vulnerabilità ha origini ben più profonde del evento in sé,  e sta infatti nella mancanza di valore che ci viene dato nella società italiana come donne e come lesbiche.  Le norme patriarcali interiorizzate e lo stress da minoranza, ci fa enfatizzare le situazioni e ci blocca nell’utilizzare strategie migliori di fronteggiamento dei conflitti. Così potremmo divenire anche una comunità resiliente[ii].
In particolare bisognerebbe mantenersi al contempo “oggettive e soggettive”, accoglienti verso l’altra, flessibili nelle strategie di coping, senza nutrire la rabbia o l’invidia, ma aumentando la sicurezza in noi stesse e cercando soluzioni attive traendo “beneficio” dall’esperienza. Potremmo allenarci di più per questo e dare tempo a chi ancora non ha sviluppato completamente questa capacità, senza però rassegnarci.
È difficile in poche righe dare “istruzioni per l’uso” ma ci torneremo nei prossimi post.

Cosa fare per ora?
Riflettere su: Consapevolezza/esperienza + resilienza + flessibilità nelle strategie di coping + riconoscimento reciproco = Sana sorellanza


ArcilesbicaXXBergamo
Chiara Cavina e Serena Gambin




Se vuoi approfondire
Short, D., Casuala C. (2004) . Speranza e resilienza. Cinque strategie psicoterapeutiche di Milton H. Erickson, Franco Angeli, Milano

Malaguti E (2005). Educare alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi, Franco
Angeli, Milano

Bacchini D, Boda G, De Leo G (2004) Promuovere la responsabilità. Franco Angeli, Milano

Faccio E., Foffano G. (2010) Il ruolo della coppia saffica e dell'associazione lesbica in Castiglioni M., Faccio E. (a cura di) Costruttivismi in psicologia clinica, UTET, Torino.

e se li trovi ...
 
Dziengel, L. (2011). Resilience, Ambiguous Loss, and Older Same-Sex Couples: The Resilience Constellation Model. Journal of Social Service Research, 38(1), 74-88.
Istituto nazionale di statistica (2012). Anno 2011. La popolazione omosessuale nella società italiana. Roma: Statistiche Report.
Lingiardi, V., Falanga, S., & D’Augelli, A.R. (2005). The Evaluation of Homophobia in an Italian Sample: An Exploratory Study. Archives of Sexual Behavior, 34(1), 81-93.
Meyer, I.H. (2003). Prejudice, Social Stress, and Mental Health in Lesbian, Gay, and Bisexual Populations: Conceptual Issues and Research Evidence. Psychological Bulletin, 129(5), 674-697.
Meyer, I.H. (2010). Identity, Stress, and Resilience in Lesbians, Gay Men, and Bisexuals of Color. The Counseling Psychologist, 38(3),442-454.
Morrison, M.A., Morrison, T.G., & Franklin, R. (2009). Modern and old-fashioned homonegativity among samples of Canadian and American university students. Journal of Cross-Cultural Psychology, 40(4),523-542.
E.D.B., Whitman, J.S., Olson, A., Rostosky, S.S., & Strong, S. (2008). The Positive Aspects of Being a Lesbian or Gay Man. Professional Psychology: Research and Practice, 39(2), 210-217.
Ross, M.W., Rosser, B.R.S., & Smolenski, D. (2010). The Importance of Measuring Internalized Homophobia/Homonegativity. Archives of Sexual Behavior, 39, 1207-1208.
Lawrence J. Vale and Thomas J. Campanella, editors, The Resilient City: How Modern Cities Recover from Disaster. New York: Oxford University Press, 2005. xiv + 376 pp.


[i] La Sorellanza ferita 
Una donna che ricorda la sua essenza di dea sta recuperando e rinnovando la fiducia in sé stessa, essa non si sente minacciata dalle altre donne, anche da quelle che nutrono maggiore fiducia in se stesse. Una donna che riscopre la sua vera forza e carattere non attacca un'altra donna per dispetto o gelosia o per costruire la propria autostima. La concorrenza, la gelosia e la mancanza di rispetto, sotto forma di pettegolezzo, tra le donne sono sintomi di un'energia patriarcale malata, radicata nella nostra coscienza femminea. È la sorellanza ferita che vive nelle profondità della psiche poichè viviamo in un paradigma culturale che esorta la lotta delle donne contro le donne, promuove la concorrenza e ricompensa il confronto fra donne. Immaginate un mondo dove le umiliazioni, il gossip, i confronti non saranno tollerati. Un mondo in cui questi comportamenti non sono accettati come "cool", tollerabili o un modo di relazionarsi e non vengono considerati con approvazione o come un modo per "adattarsi" con le altre donne, ma intesi come espressione di profonde paure, di separazione, di abbandono o di isolamento. È il grido della ferita che chiede di essere guarita, di ritornare alla sorellanza , ad Essere Dee , è tempo di rendersi conto del danno che è stato fatto e che facciamo all'anima delle donne individualmente e come genere, ogni volta che una donna accetta e riproduce questi atteggiamenti .
È tempo di tornare alla sorellanza.
Chrysalis Woman

[ii] Lawrence J. Vale and Thomas J. Campanella, editors, The Resilient City: How Modern Cities Recover from Disaster. New York: Oxford University Press, 2005. xiv + 376 pp.

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